di Dario Fruscio

2^parte

Ulteriori riflessioni sul tema Debito pubblico italiano/Europa/Euro, focalizzate sul seguente tema fortemente dibattuto:
l’uscita di un Paese dall’euro: atto conveniente o salto nel buio?

Una decima riflessione riguarda gli effetti che discenderebbero sul Paese che uscisse dall’euro.
Per prima, tale atto innescherebbe con i Paesi Ue un contenzioso dalle dimensioni gigantesche. Contemporaneamente, la svalutazione monetaria del Paese uscito dall’Ue renderebbe improbabile ai cittadini di tal paese di pagare i propri debiti in euro.
Medesima difficoltà avrebbe lo Stato (receduto dall’area euro) a rimborsare alla Ue gli aiuti ricevuti in euro. Vale a dire, la banca centrale nazionale (del Paese receduto) non avrebbe possibilità di pagare le passività accumulatesi nei confronti delle varie categorie creditrici del sistema euro. Passività, giova sottolineare, rigorosamente registrate nel sistema TARGET 2. Una vera e propria insolvenza che creerebbe sui creditori in euro, sulle banche centrali e sugli Stati dell’Ue una condizione finanziaria e bancaria esplosiva. Quindi, una situazione dirompente sia a livello fra privati, sia fra Stati.
Una undicesima riflessione induce a considerare che nella situazione qui per ultima ipotizzata, è dato ritenere che sia pressoché impossibile al Paese non più a moneta euro emettere titoli di Stato nella nuova moneta. Il loro valore sarebbe, infatti, eroso velocemente dall’inflazione che sarebbe, a tutta evidenza, galoppante. Ad acquistarli dovrebbe essere la Banca centrale del Paese non più a moneta unica. E quanto potrebbe sopravvivere un tale meccanismo di crescente, esponenziale inflazione-svalutazione dei titoli pubblici via via emessi e in emissione?
Una dodicesima riflessione la si dovrà far discendere da quella qui immediatamente precedente. A fronte della debacle testé delineata,i cittadini usciti dall’area euro potrebbero puntare a proteggere i loro risparmi dalla svalutazione della nuova moneta continuando a usare banconote in euro ancora loro disponibili, così realizzando una condizione, per un certo periodo, di doppia circolazione monetaria così rappresentabile: l’euro, in quanto disponibile nei cittadini, verrebbe usato per la regolazione delle transazioni fra privati; la moneta nuova, quella “cattiva”, diverrebbe quella propria del settore pubblico.
E’ questo il sistema in uso nei Paesi balcanici.
Tale doppio sistema circolatorio monetario potrebbe trarre rafforzamento anche mediante l’indicizzazione dei prezzi all’euro,piuttosto che alla nuova moneta.
L’effetto di quanto ora ipotizzato pare debba esser visto in una vanificazione del tentativo di recuperare competitività mediante l’introduzione nel nostro Paese di una nuova moneta rispetto all’euro. Viceversa, ciò ch’è possibile ritenere è che l’introduzione della nuova moneta andrebbe a scapito delle fasce sociali del pubblico impiego, in quanto prive di difesa rispetto alla perdita del loro potere d’acquisto, riconducibile alla svalutazione della nuova moneta di pagamento dei corrispettivi loro spettanti.
Una tredicesima riflessione non può che discendere da quella per ultima qui indicata.
Se credibile e fondata è la possibilità del cittadino di proteggere il valore del proprio risparmio attraverso l’uso dell’euro nelle transazione, pare possibile ritenere che i cittadini nel momento in cui percepiscano la concreta possibilità dell’uscita dal regime euro in tempi ravvicinati, provvedano a ritirare i propri risparmi, ovunque depositati e/o investiti, trattenendoli nei propri forzieri privati o nelle proprie case, sotto forma di banconote, pronte all’uso.
E’ evidente, ultimo miglio antecedente il tracollo del sistema bancario nazionale. Quindi, fine del ragionamento.
Una quattordicesima riflessione va pur fatta, nonostante l’annunciata “fine del ragionamento” di cui alla qui precedente ultima riflessione.
Nella campagna elettorale nazionale del 2013 forte si è elevata la voce di quanti ritengono che l’uscita dall’area dell’euro del nostro Paese favorirebbe il processo di riequilibrio economico e sociale dell’Italia. Si ritiene sia inconferente sprecarsi in una disquisizione circa il tasso di populismo insito in tale voce. D’altra parte, se a ripetere il mantra dell’uscita dall’euro, vale quale espediente per l’aggiustamento o per l’accrescimento della propria condizione elettorale di chi tale mantra ripete, con danno per gli interessi del Paese e della collettività (espediente populista e puramente demagogico, e tuttavia anche possibile e legittimo), occorre andare oltre tale altrui irresponsabile e ingannevole modalità di far politica, proseguendo col metodo della riflessione pacata e quanto più possibile oggettivamente tecnico-scientifica.
Sarà bene considerare, a questo punto, che il processo di integrazione fra Paesi diversi e differenti per storia e per diversità di modelli di sviluppo, è processo normalmente difficoltoso e faticoso. E’, perciò stesso, processo che si sviluppa e si realizza attraverso una successione di modifiche e di aggiustamenti nel decorrere del tempo. Modifiche e aggiustamenti che, evidenziati, appunto, dal succedersi delle crisi, dovranno essere tali da realizzare il superamento delle crisi stesse. Talché il poter ragionevolmente ritenere che dalla successione di situazioni di crisi il processo di integrazione ne uscirà, di volta in volta, rinvigorito e meglio consolidato.
Un autorevole precursore dell’integrazione europea, Jean Monnet, usava avvertire che “l’Europa non verrà costruita tutta a un tratto. Verrà costruita nelle crisi e sarà il risultato delle soluzioni adottate in quelle crisi”
E così è stato anche nell’esperienza unionistica degli USA, ove si abbia riguardo che l’istituzione della Federal Riserve giungeva nel 1913, dopo e sulla scorta dell’esperienza di una fitta successione di crisi bancarie in sede federale. Ove sono occorsi più di centocinquanta anni per pervenire al modello di governo federale pienamente accettato dagli Stati confederali.
Evidentemente non può essere scorta in quanto finora considerato un’accettazione fatalistica delle condizioni di crisi, quasi fosse uno scotto da pagare all’edificazione dell’Unione. Tutt’altro, se così fosse l’Unione non uscirebbe dalle situazioni di crisi più forte, più coesa, più solidale e cooperativistica.
Pare non debbano aversi dubbi:ciò che rende possibile un processo d’integrazione fra Paesi e popoli è l’esistenza di una sincera e convinta coesione politica dei facenti parte del processo integrativo fra Stati diversi e differenti.
Con riferimento particolare all’euro e alla sua area, più alto e più convinto si ritiene debba essere tale presupposto valoriale di coesione. Ciò in considerazione del fatto che l’euro è una moneta unica nella storia dell’uomo, quanto a condizione di intrinseca sua precarietà, com’è di una moneta senza Stato e tuttavia misuratore di valore e di mezzo di pagamento di più Stati, peraltro nemmeno compiutamente integrati economicamente, né, soprattutto, politicamente.
Una quindicesima riflessione non può mancare riguardo agli effetti che l’uscita dal sistema euro farebbe ricadere sui Paesi extra area euro e perfino ben oltre il confine dei Paesi facenti parte dell’Ue. Riguardo e rispetto delle relazioni internazionali pare vogliano che nelle decisioni di uno Stato, ogniqualvolta vi siano di mezzo interessi di popolazioni e di Stati terzi meritevoli di tutela, debba essere inderogabile l’uso della prudenza e della delicatezza da parte dello Stato che si ponga il tema del proprio sganciamento dalla moneta unica e conseguentemente, ancor prima, dell’uscita dall’Ue. E’ questione di delicatezza e di civiltà istituzionale fra Stati, ma anche di necessità del non porre in essere contenziosi fra Stati dagli esiti regolarmente rovinosi sotto il profilo delle relazioni internazionali, oltre che gravosissimi sotto il profilo dell’onerosità.
In funzione delle considerazioni finora delineate, verosimilmente le condizioni del malessere dell’Italia, come, eventualmente di ogni altro Paese comunitario,appartenente all’area euro, potrebbero passare per una negoziazione che punti a convincere i componenti dell’Ue dell’opportunità, intesa nello spirito cooperativistico insito nell’Unione, di individuare delle variazioni/integrazioni al patto comunitario che valgano, per l’intanto, a rimettere in gioco con vigore la terza realtà industriale dell’area euro, ovvero l’Italia, rendendole possibilela strada dell’equilibrio economico-industriale e del conseguente rilancio e sviluppo sociale.
Una tale soluzione avrebbe il pregio, una volta ratificata da tutti i Paesi Ue, di realizzare un deciso passo avanti sulla via dell’integrazione europea, verosimilmente utile, in seguito, anche ad altri Paesi che, come l’Italia attualmente, potranno trovarsi rinchiusi nell’impossibile e mortale “gabbia di acciaio”

Conclusivamente, alla luce di quanto volutamente rappresentato con tratto velatamente problematico, affinché chiunque voglia esprimersi in ordine alle considerazioni proposte abbia piena e autonoma possibilità di farlo.
In tale prospettiva consideriamo che il contributo di critica, anche severo, potrà essere di arricchimento delle conoscenze, ogniqualvolta reso in spirito di critica costruttiva e con intendimenti di reciproco arricchimento tecnico scientifico.
Quindi, su quanto sopra,
cosa ne pensa lei/tu cittadino/a? E quale il suo/tuo contributo di suggerimento/i affinché all’interno dell’area euro si abbia un riposizionamento, senza traumi, dei Paesi più deboli integrati nell’euro?

Segue……