di Dario Fruscio

Le delocalizzazioni all’estero di aziende industriali italiane è divenuta patologia in continua crescita. Essa si presenta gravemente degenerativa rispetto al normale funzionamento di qualsivoglia sistema industriale produttivo nazionale.

Ho avuto occasione di parlarne con un collaboratore di Fondazione Italia. Ne è scaturito un approfondimento a largo spettro, i cui termini saranno ulteriormente da me approfonditi e resi noti in un mio prossimo intervento sul sito della Fondazione Italia. Per l’intanto è possibile anticipare che la condizione scatenante il fenomeno delocalizzativo delle produzioni industriali è rappresentato, nei suoi termini causali e di fortissima propulsione, dall’iniquo e distorto trattamento fiscale qui di seguito rappresentato:

un’impresa con sede in Italia e produzione all’estero dei propri beni è soggetta ad una pressione fiscale pari al 30% del suo reddito imponibile; altra analoga impresa nazionale con propria produzione in loco sconta un carico fiscale pari a circa l’80% del suo reddito imponibile. Fattore di forte propulsione di tale fenomeno è sicuramente da scorgere nell’area della complessa articolazione del sistema fiscale italiano. Nell’Irap, molto preponderatamente.

Così stante le cose, parlare di fuga delle aziende industriali dall’Italia pare limitativo e tutt’altro che veritiero.

Più esaustivamente e più credibilmente varrebbe considerare che il fenomeno di cui trattasi, è sì di fuga, ma di una fuga indotta e alimentata da un’altra più grave e terrificante fuga: quella della politica di rimuovere il fattore incentivante delle delocalizzazioni produttive. Vale a dire, di togliere di mezzo l’Irap ( per intero e non solo il 10% ! ) recuperando integralmente il relativo venir meno del gettito fiscale mediante opportuni e semplici arbitraggi sull’IRES, secondo le modalità indicate dai due Centri di ricerca che si sono occupati del fenomeno della delocalizzazione delle produzioni industriali dall’Italia all’estero, Prometeia e Osservatorio Bocconi.