Di Francesco Buonomenna – Università degli Studi di Salerno

Il profilarsi progressivo di un interesse globale alla sicurezza energetica, alla tutela ambientale ed allo sviluppo sostenibile della società, hanno comportato un ampliamento dell’interesse del settore energetico, dal piano meramente interno statale a quello del diritto internazionale, richiedendo soluzioni comuni per i diversi profili connessi e interessanti tale settore. Dall’inizio del terzo millennio l’energia è divenuta così un nucleo vitale di interesse della Comunità degli Stati, non a caso a seguito della Risoluzione delle Nazioni Unite del 20 dicembre 2010 n. 65/151, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato l’anno 2012 come anno internazionale dell’energia sostenibile. Rilevante, si pone per la prima volta la nozione di energia sostenibile emersa dalla richiamata risoluzione intesa come “l’energia prodotta ed utilizzata in modo tale da poter sostenere lo sviluppo umano a lungo termine in tutti suoi aspetti sociali, economici e ambientali”. La rilevanza e l’incidenza della nozione di energia sostenibile si è posta successivamente al centro dell’attenzione degli Stati in sede di Conferenza internazionale del 20-22 giugno 2012 più nota come Rio + 20: gli Stati hanno sviluppato il tema del settore energetico nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Nonostante le varie critiche poste agli ambiziosi obiettivi prefissati con la Conferenza di Rio, certamente un risultato positivo è stato ricondotto alla trattazione e valorizzazione di settori, come quello energetico, che fino ad un decennio fa venivano sviluppati a livello universale solo in parte. Per tali settori la prospettiva di inquadramento si presentava segmentata a livello sovranazionale ed in ogni caso non proiettata verso una dimensione di sviluppo sostenibile.

In tale contesto il settore energetico ha assunto una particolare valenza nella Dichiarazione finale, nonostante ad esso non siano stati dedicati numerosi paragrafi corrispondenti (parr.125-129). La particolare valenza si può rinvenire nell’inquadramento funzionale allo sviluppo sostenibile di profili caratterizzanti il settore, ciascuno dei quali dotati di una propria identità normativa sviluppatasi nel corso degli anni. Tradizionalmente ricondotto allo sfruttamento delle risorse naturali, il settore energia, soltanto di recente, ha stimolato l’interesse degli Stati verso nuovi ambiti, quali l’incidenza ambientale e l’accesso sostenibile ai servizi energetici.

Più propriamente, in una fase pre-vigente i regimi regolatori delle fonti e dell’uso dell’energia mancavano di una specifica identificazione, essi coincidevano con il regime regolatore di beni o delle cose, ovvero dei diritti di sovranità sul territorio. Soltanto con una più recente rappresentazione della sovranità territoriale idonea a configurare diversi rapporti giuridici, non solo interni, ma anche internazionali si inizia a percepire l’importanza della funzionalizzazione della ricchezza energetica. Da tale momento è divenuto possibile delineare un diverso significato dell’utilizzo delle risorse, rapportato alle interrelazioni statali sempre più interdipendenti, premessa essenziale dell’attuale cooperazione energetica.

La fase attuale si è così ampliata di ulteriori contenuti trasversali ad altri settori interessanti la Comunità internazionale, ed incidenti sullo sviluppo sostenibile modernamente inteso. In tale logica un ruolo significativo, come viene evidenziato nella stessa Dichiarazione (parr.127-128), assume l’interconnessione tra ambiente ed energia, rapporto funzionale alla riduzione dell’emissioni di Co2. Diverse possono rappresentarsi le fasi evolutive di tale rapporto, dapprima in contrapposizione alle esigenze di un settore rispetto alle logiche di fondo dell’altro, per divenire, nella fase recente, interfunzionale e possibile di promozione degli uni obiettivi rispetto agli altri, vista la promozione di forme alternative di fonti energetiche compatibili e promozionali dei nuovi standards ambientali (cosiddetta fase post Kyoto). Com’è noto, nell’era della rivoluzione industriale l’interesse energetico si concretizzava prevalentemente nello sviluppo della tecnica, rispetto alla preservazione degli elementi naturali. In seguito soltanto a causa di incidenti industriali con forti ricadute inquinanti sulle risorse naturali (inizialmente idriche o marittime) è cresciuta la consapevolezza che le stesse costituiscono un patrimonio essenziale per le generazioni presenti e future. La tutela ambientale è divenuta così una componente importante della politica internazionale degli Stati, consapevoli della globalità delle conseguenze dei danni ambientali, i quali seppur provocati da eventi localizzati, generalmente si propagano oltre i confini nazionali. Sul piano giuridico ciò ha determinato un radicale mutamento nella trattazione delle questioni derivanti dall’utilizzo da parte degli Stati delle risorse energetiche in particolare idriche, minerarie e gassose, rappresentando la preservazione ambientale in tale fase un limite allo sviluppo economico incondizionato degli Stati. Vari principi di diritto ambientale si affermano in tale contesto, a partire dalla moderna nozione di sviluppo sostenibile al centro dei diversi strumenti giuridici approvati dalla Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo tenuta a Rio de Janeiro nel giugno 1992. Da tale momento in poi emerge in maniera forte l’esigenza di affermare la compatibilità tra le attività di sviluppo economico degli Stati e la tutela e preservazione di un ambiente naturale (Protocollo di Kyoto, marzo 1988 e Vertice di Johannesburg, agosto 2002), valorizzando sia lo sviluppo tecnologico per favorire  la riduzione delle emissioni di Co2 nell’impiego dei combustibili fossili tradizionali, sia incentivando forme alternative di fonti energetiche compatibili e promozionali dei nuovi standard ambientali. A tali obiettivi, espressione dell’attuale coperazione energetico-ambientale si ispirano, sia il Trattato sulla Carta dell’energia e connesso Protocollo sull’efficienza energetica e sugli aspetti ambientali correlati (firmati a Lisbona il 17 dicembre 1994 ed entrati in vigore il 16 aprile 1998), sia la stessa  Dichiarazione Rio +20 nei paragrafi 127-128.

Ulteriore momento qualificativo nella dichiarazione di Rio, e per certi aspetti caratterizzante la logica evolutiva attuale,  attiene alle incidenze che può avere lo sviluppo energetico nella lotta alla povertà e nell’innalzamento degli standard di tutela dei diritti fondamentali (par.125). Invero, il godimento dei servizi energetici essenziali rappresenta l’elemento chiave per migliorare notevolmente la qualità della vita di gran parte della popolazione mondiale residente nelle aree rurali e meno sviluppate, generalmente in situazione di estrema povertà. Le stesse popolazioni  isolate dalle reti di trasporto e di distribuzione  dell’energia in molti casi non possono beneficiare dei servizi energetici essenziali per soddisfare bisogni essenziali e primari (es. abitazioni, ospedali, scuole, trasporti). Contrariamente ai servizi energetici tradizionali la diffusione di modelli tecnologici, riconducibili all’alveo dei servizi moderni (par.126), consentirebbe ai Paesi in via di sviluppo di disporre di energia pulita, permettendo alle popolazioni residenti di disporre di abbondanti risorse energetiche diffuse a livello locale ed inesauribili. In tale contesto vanno inquadrati gli obiettivi di un maggiore rafforzamento dei programmi, sia a livello nazionale che regionale, nonchè rafforzamento delle correlate politiche energetiche. Emerge dai recenti scenari internazionali come le istanze statali in materia energetica non si presentino esclusivamente focalizzate sulla disciplina dei mercati (es. tutela degli investimenti, disciplina dei contratti di trasporto e del transito di energia), ma riflettono le istanze dello sviluppo sostenibile, volto a conciliare esigenze di salvaguardia e valorizzazione di beni comuni ( tutela dell’ambiente e risorse naturali)  con l’innalzamento degli standard di tutela di dei diritti fondamentali.